Sempre più infermieri e medici si licenziano dalla sanità pubblica

«1780 euro al mese di media di stipendio, comprensivi di premi e di straordinari, sempre che si abbia la fortuna di vederseli pagati, dal momento che in numerose regioni le retribuzioni degli orari “extra”, come in Sardegna, sono una lontana chimera: è questa l’amara realtà dell’infermiere italiano del 2022 che decide di restare, suo malgrado, nella sanità pubblica. Sottopagato, dilaniato da turni massacranti, speranzoso di una valorizzazione economica che ancora deve fare grandi passi per potersi dire compiuta. Ma i paradossi, nella sanità italiana, sono davvero all’ordine del giorno, e quello che sta accadendo, negli ultimi mesi, in territori come il Piemonte e l’Emilia Romagna, ma siamo certi che non si tratta di casi isolati, ha dell’incredibile e va doverosamente raccontato». Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«Cominciamo dal Piemonte dove sembrano aumentare i casi di medici che si licenziano dal sistema pubblico e si appoggiano alle cooperative. Incredibile ma vero, di fronte alla mancanza di personale, un’azienda sanitaria come quella piemontese arriva a pagare un medico esterno, fino a 120 euro l’ora. A raccontarcelo sono i nostri referenti locali, che denunciano una situazione assolutamente incomprensibile. In Emilia Romagna si verificano casi simili e riguardano gli infermieri, ma non sono legati alle cooperative, dove certo un professionista non può permettersi di farsi pagare 120 euro all’ora come un medico. Cosa succede allora? Dopo 20 anni di servizio, ci raccontano i nostri coordinatori locali, forti di una solida esperienza sul campo, sempre più infermieri decidono di licenziarsi e di rinunciare a contratti a tempo indeterminato nella sanità pubblica, dove percepiscono magri stipendi che non fanno certo il paio con il mutato costo della vita. Chi se lo può permettere, decide allora di aprirsi partita iva.  Volete sapere quanto arriva a guadagnare un infermiere libero professionista in Emilia Romagna, tolte le dovute tassazioni? Abbiamo fatto due conti e siamo arrivati alla conclusione che un infermiere con partita iva che lavora 5-6 giorni a settimana, può anche arrivare a 50mila euro all’anno netti. Vi domandate se il mercato offre loro la possibilità di operare a regime libero professionale? Vi rispondiamo dicendo che, paradossalmente, sono le stesse aziende sanitarie, cioè quelle che non valorizzano gli infermieri che hanno dentro casa, a doversi necessariamente appoggiare a personale esterno, e quindi anche quelli che, una volta infermieri dipendenti come gli altri, decidono di licenziarsi ed intraprendere la libera professione, vista la carenza di personale che tocca la voragine di 80mila unità. Vogliamo forse biasimare la loro scelta e condannare un medico di una cooperativa che si fa pagare 120 euro all’ora, beato lui, o denigrare la decisione di un infermiere che decide di aprirsi partita iva? Insomma, pare evidente che, viste le proposte poco edificanti che la sanità pubblica continua a riservare agli infermieri, tra avvisi di assunzione sempre più deserti, e corsi di laurea per infermieri che nell’anno accademico 2022-2023 denunciano quasi il 10% di giovani candidati in meno rispetto all’anno precedente, la responsabilità non è certo di chi decide di “invertire la rotta”, ma di un sistema profondamente malato e distorto che consente tutto questo e continua a compiere l’infelice e triste scelta di non pagare adeguatamente i suoi dipendenti, spingendoli a licenziarsi, salvo poi essere costretto a richiamarli, questa volta come libero professionisti, pagandoli molto di più di quanto non gli desse precedentemente. E’ davvero questo il modo di ricostruire il nostro sistema sanitario?».

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Redazione

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