Terremoto L’Aquila, sentenza choc: ‘colpa anche delle vittime’
È una colpa, per le vittime sotto le macerie del crollo, non essere usciti di casa dopo due scosse di terremoto molto forti che seguivano uno sciame sismico che durava da mesi: è un passaggio della sentenza in sede civile del Tribunale dell’Aquila riferita al crollo di uno stabile in centro del capoluogo abruzzese nel sisma del 6 aprile 2009 in cui morirono 24 persone sulle 309 complessive.
In un passaggio della sentenza firmata dalla giudice Monica Croci del tribunale civile dell’Aquila in composizione monocratica si legge: “È fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile”, parole che hanno gettato nello sconforto e nello sconcerto la comunità aquilana e soprattutto i familiari delle vittime, che erano mamme, padri, figli, fratelli e sorelle di coloro che oggi non ci stanno a vedere etichettati i loro famigliari come corresponsabili della loro stessa morte da parte della magistratura, alla quale si sono rivolti per avere giustizia. Per la giudice Croci le vittime del terremoto del 2009 sono responsabili di un “concorso che può stimarsi nel 30%”, la misura di cui verrà decurtato il risarcimento danni stabilito, riconoscendo una corresponsabilità delle vittime ricorrenti (gli eredi delle vittime hanno citato in giudizio i ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture, il Comune dell’Aquila e gli eredi del costruttore) perché ha ravvisato una imprudenza nella loro scelta di non uscire di casa dopo la seconda scossa della notte tra il 5 e il 6 aprile, ossia a ridosso dell’una, condannando i ministeri al 15% di responsabilità ciascuno, gli eredi del costruttore al 40% di responsabilità, ha respinto le domande nei confronti del Comune e, infine, il 30% di corresponsabilità di coloro che sotto le macerie hanno perso la vita.
“Una sentenza che lascia senza parole, sconcertante, che merita di essere impugnata”. Così Wania della Vigna, l’avvocata che per 13 anni ha seguito alcuni familiari delle vittime del terremoto del 6 aprile 2009, e, più di recente, anche del terremoto di Amatrice (2016) e della valanga che nel 2017 ha travolto l’hotel Rigopiano a Farindola, commenta la sentenza del tribunale civile dell’Aquila che ha riconosciuto una corresponsabilità del 30% di alcune delle 24 vittime dei crolli in via Campo di Fossa in seguito alla scossa di magnitudo 6.3 avvenuta nella notte del 6 aprile, alle ore 3,32.
“Sono rimasta basita nel leggere le motivazioni della sentenza del tribunale civile dell’Aquila– dice Della Vigna, che non segue questo procedimento specifico, ma conosce a fondo la materia- e ad apprendere la concorsualità delle vittime che quella maledetta notte dormivano tranquillamente nel palazzo di via Campo di Fossa nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009. Sotto il profilo giuridico, leggendo la sentenza, la motivazione della concorsualità delle vittime è evidentemente illogica e contraddittoria per due aspetti fondamentali: da una parte gli enti e le parti condannate nella stessa sentenza avevano l’obbligo giuridico di evitare l’evento, il crollo, e il comportamento delle vittime non incide assolutamente sul processo ‘produttivo’ dell’evento”.
“Un secondo aspetto fondamentale – aggiunge l’avvocata Wania Della Vigna commentando la sentenza di corresponsabilità di alcune delle vittime di crolli della palazzina di via Campo di Fossa all’Aquila nella notte del 6 aprile 2009- è che non esiste alcun collegamento causale tra le vittime che dormivano tranquillamente nella palazzina e il crollo e poi la morte. E poi, non si può dimenticare un fattore importante: e cioè che c’era stato un messaggio tranquillizzante da parte del vicecapo della protezione civile nazionale, Bernardo De Bernardinis, che è stato anche condannato con sentenza passata in giudicato per quel messaggio tranquillizzante“.
(Dire)