Emergenza suicidi tra i giovani, serve lo psicologo nelle scuole
Riccardo Faggin, lo studente di infermieristica morto in un incidente stradale a Cinto Euganeo, è solo l’ultimo dei giovani che non hanno saputo reggere il peso di una carriera di studi non perfetta.
A inizio ottobre, un altro studente ha deciso di togliersi la vita lanciandosi dal Pontelungo di Bologna: aveva detto a tutti che si sarebbe laureato il 7 ottobre, ma in realtà alla tesi mancavano ancora molti esami.
La fragilità tipica dell’età della formazione sembra essere diventata ancora più drammatica per i giovani reduci da una pandemia che li ha costretti in casa per due anni. A rilevare il fenomeno, sono soprattutto i docenti e i dirigenti scolastici che ogni giorno li vedono attraversare i corridoi delle scuole.
“C’è una maggior fragilità, questo è evidente- spiega alla Dire Cristina Costarelli, dirigente scolastica del liceo ‘Newton’ di Roma e presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio- con il Covid è cambiato qualcosa, ma è difficile quantificare. Anche le famiglie hanno difficoltà a gestire queste situazioni, perchè i ragazzi sono sempre più chiusi e fanno fatica a parlare ed aprirsi. Per questo c’è bisogno di un supporto psicologico nelle scuole“.
Ma per la dirigente scolastica trovare un’immediata correlazione tra un voto negativo e il gesto estremo di uno studente, è sbagliato e non veritiero. “Negli ultimi tempi la questione del voto si sta strumentalizzando. A livello pedagogico si può analizzare cosa sia meglio tra voto e giudizio. Ma il voto è uno strumento di educazione- sottolinea Cristina Costarelli- Non è dal voto che si crea competizione, perchè nel sistema scolastico il voto viene accompagnato da una spiegazione legata al percorso dello studente. Noi non facciamo competizioni. Poi sicuramente i ranking delle scuole superiori non aiutano. Ma queste sono dinamiche esterne alla scuola, legate al mondo del lavoro, che provano a entrare anche nella scuola pubblica: non è il sistema scolastico che porta alla competizione”.
Test di accesso alle facoltà universitarie sempre più precoci, selezione degli studenti più brillanti fin dai primi anni di scuola superiore sono i sintomi di un’ansia da prestazione avvertita come opprimente e stressante per i giovani. “Ma colpevolizzare la scuola o le università è troppo facile– aggiunge Costarelli- La scuola cerca di fare tutto il possibile per i suoi studenti: docenti e dirigenti si impegnano per comprendere le problematiche dei giovani, ma gli alunni hanno difficoltà ad aprirsi, ad esprimersi. Quindi se è vero che le famiglie non hanno strumenti, è anche vero che la scuola da sola non può gestire il problema“.
Per questo la preside sottolinea la necessità di un supporto psicologico all’interno delle aule. “Dalla fine dell’emergenza sanitaria, lo psicologo scolastico non viene più finanziato dal ministero dell’Istruzione- ricorda Costarelli- la nostra scuola ha deciso di tenerlo, finanziandolo autonomamente, ma molte scuole non possono permetterselo. Sicuramente non è una soluzione a tutti i problemi dei giovani, ma uno psicologo a scuola può essere un valido strumento di supporto in un momento in cui ancora i ragazzi risentono degli effetti del lockdown”.
(Dire)