La Svizzera prepara una nuova ‘caccia aperta’ all’infermiere italiano

Crisi occupazionale e ricerca spasmodica di nuove figure professionali, con predilezione, naturalmente, per quelle più specializzate. 

Potremmo definirla così la situazione che “attanaglia” la vicina Svizzera, con cui esiste, da sempre, un legame economico e socio-culturale molto profondo, e dove, anche a partire dal 2023, secondo le indagini dei media locali, abbonderanno le offerte di lavoro in svariati settori del mondo lavorativo. Disoccupazione al 2 per cento e 250mila posti di lavoro vacanti. Cosa sta accadendo?

«Provate a indovinare, ancora una volta, quale sarà la professione più richiesta in terra elvetica, da qui a breve. Secondo il report degli esperti, sono oltre 7mila (6995) i posti vacanti nel settore infermieristico da coprire, subito, nei primi mesi del nuovo anno, per un fabbisogno, che già lo scorso anno, superava le 10mila unità. Come si ricollegherà, tutto questo, inevitabilmente, con la profonda instabilità del nostro sistema sanitario?». Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«Saremo in grado, con i nostri 1400 euro al mese netti, che rappresentano la magra retribuzione di un infermiere di casa nostra, tra le più basse d’Europa, di contrapporre strategie degne di tal nome per arginare quella che si annuncia come una nuova fuga di professionisti italiani nella vicina Svizzera? Lì, in particolare nel Ticino, nella Svizzera italiana, da anni, lo abbiamo denunciato più volte in passato, è in atto uno vero e proprio esodo di infermieri lombardi, che in particolare scelgono il percorso del lavoro frontaliero, risparmiando quindi sulle spese di alloggio, e dove gli stipendi base possono toccare anche i 3500 euro netti mensili (5200-5600 euro lordi). Certo, tutto questo a fronte di una tassazione di non poco conto e di un costo della vita elevato, non è tutto oro quello che luccica, ci mancherebbe, ma stiamo parlando di stipendi che non hanno nulla a che vedere con la realtà sanitaria italiana, soprattutto se immaginiamo il mutato costo della vita e pensiamo che i nostri 1400 euro mensili ci collocano inesorabilmente sulla triste soglia della povertà».

«Non possiamo non ricollegare quanto emerge dal mondo elvetico ai campanelli di allarme di numerosi ordini professionali, che in queste ore, tracciando i bilanci di fine anno, ci raccontano, di un Piemonte, per fare un esempio lampante, dove nel corso dell’anno appena concluso ben 109 infermieri avrebbero lasciato l’Opi di Cuneo, cancellando la propria iscrizione dall’albo. Non si tratta di un sassolino nello stagno: le dimissioni volontarie dalla sanità pubblica aumentano a vista d’occhio e sono legate ad una mancata valorizzazione che tocca l’acme, sfociando nei conclamati casi di quegli infermieri gettonisti, che preferiscono unirsi ad agenzie esterne, oppure aprire partita iva, per non parlare di coloro che decidono addirittura di abbandonare in pianta stabile la professione».

«Veniamo ai numeri che abbiamo già ampiamente denunciato. Solo nel 2021, secondo i dati forniti dall’Associazione socio sanitaria territoriale lariana (Asst), sono stati ben 283 i dipendenti che hanno abbandonato volontariamente la professione. Di questi oltre un centinaio, “hanno passato il confine” e hanno scelto di diventare frontalieri, per lavorare in pianta stabile nella sanità elvetica. Negli ultimi due anni oltre 150 persone, tra i dipendenti della sanità pubblica, nelle province di Como e Lecco, si sono licenziate e si sono impiegate nella Confederazione elvetica. Nel settore sociosanitario del Ticino, che occupa in totale quasi 16mila dipendenti, 4300 sono i frontalieri. Di questi il 70% si compone di italiani (per la maggior parte lombardi). Si tratta di numeri reali, a dir poco allarmanti, che evidenziano, da un lato, come la carenza infermieristica nella Regione Lombardia, da strutturale quale era, è arrivata a toccare l’apice con la pandemia, sfiorando, da sola, oggi, le 10mila unità. Ma sappiamo bene che oggi, non solo in Lombardia, quello degli infermieri italiani, nel nostro Paese, è un quadro davvero desolante. E mentre anche nelle altri Paesi  come la Svizzera, l’improvvisa e virulenta emergenza sanitaria ha trasformato acque chete in acque agitate e torbide, da noi, con un mare già in tempesta prima del virus, sono arrivati cavalloni alti 10 metri che hanno letteralmente travolto imbarcazioni già in grande difficoltà».

«Essere frontaliero, nonostante lo stress del viaggio quotidiano – continua De Palma – permette ai nostri infermieri di evitare di subire il pesante costo della vita quotidiana in Svizzera. Ma in fondo, come negare che le problematiche finiscono esattamente qui, dal momento che lo stipendio di un infermiere professionista, con pochi anni di esperienza alle spalle, in un ospedale del Ticino, si aggira intorno a poco meno di 5.200 franchi svizzeri lordi, ossia poco più di 5.060 euro lordi (a questi dobbiamo togliere le tasse che in Svizzera non sono cosa da poco). E pensate che uno stipendio che si aggira intorno ai 3500 euro netti sia davvero da buttare via, paragonato alla nostra situazione retributiva attuale? Non dimentichiamo che ci sono, poi, realtà, come la svizzera tedesca, che arrivano a toccare i 5mila euro netti al mese per un infermiere, ma qui emerge certamente la maggiore difficoltà linguistica, anche se le richieste che arrivano da Berna e Zurigo, città con un alto della costa vita, superano ampiamente quelle ticinesi, dove la mancanza di infermieri non è così drammatica». 

«Non dimentichiamo che l’infermiere frontaliero, al di là delle spese di viaggio, acquisiti almeno 15 anni di anzianità di servizio, può raggiungere oltre 9.000 franchi svizzeri (8760 euro), da cui vanno sempre detratte le tasse. Non che siano mancate criticità, durante la Pandemia, anche all’interno del sistema elvetico, come testimonia la recente approvazione alle urne, lo scorso 28 novembre 2021, dell’iniziativa popolare “cure infermieristiche forti”, che aveva proprio lo specifico obiettivo di migliorare le condizioni della professione. Anche gli infermieri svizzeri, per essere chiari, durante l’emergenza, hanno pagato stress, turni massacranti e carenza di personale. Ma da noi, lo sappiamo bene, l’inferno quotidiano ha toccato ben altri livelli di gravità. Cosa aspettarci dal 2023? Le premesse, ahimè, per una nuova fuga di infermieri italiani in Svizzera, e non solo, ci sono tutte. Compito, non poco arduo, da parte della nostra politica, sarà creare da subito le condizioni per tenerci ben strette le nostre migliori eccellenze, ambitissime come non mai all’estero alla luce delle proprie competenze, che i nostri vicini ci riconoscono e che noi, da troppo tempo, indebitamente sembriamo ignorare».

Redazione

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