21 anni fa il delitto di Cogne

“Mi aiuti a farne un altro?”. È la frase che spacca il cuore dell’opinione pubblica nei giorni immediatamente successivi alla morte efferata a Cogne del piccolo Samuele Lorenzi, 3 anni, avvenuta il 30 gennaio 2002.

Trapela dai racconti dei testimoni insieme a un comportamento descritto come controllato e freddo della mamma del piccolo: Annamaria Franzoni. Lo chalet di Cogne, immerso in una geografia di pace, è bagnato di sangue.

C’è sangue sulla parete, dietro il letto, frammenti ossei sul cuscino. Il cranio del piccolo è stato colpito 17 volte, da qualcuno a cavalcioni su di lui. Qualcuno per la giustizia italiana è sua madre che sarà condannata nel 2008 in via definitiva a 16 anni.

ANNAMARIA FRANZONI LIBERA DOPO SEI ANNI DI CARCERE

Oggi Annamaria Franzoni è libera per buona condotta dopo aver scontato sei anni di carcere e cinque ai domiciliari, e aver goduto di tre anni di indulto. Nel processo Cogne bis Annamaria Franzoni è stata condannata anche per calunnia per aver indirizzato gli inquirenti verso un presunto assassino che lei indicò in Ulisse Guichardaz, il guardiaparco di Cogne. Franzoni, che oggi fa la mamma di Davide e di Gioele, nato un anno dopo la morte del fratellino Samuele, ha continuato a dirsi innocente e nella villetta di Cogne ci è tornata con il marito Lorenzo anche per passarci il Capodanno.

LA TECNICA BLOODSTAIN PATTERN ANALYSIS

È stato un caso mediatico, un’arena di tesi sulla psiche di una mamma in perizia considerata senza infermità e che avrebbe ucciso, secondo l’accusa, in un momento ‘dissociativo transitorio borderline’. Cogne è stato tutto questo ma è stata anche la rivoluzione delle indagini processuali grazie all’innovazione scientifica dello studio morfologico delle macchie di sangue sulla scena del crimine con la tecnica bloodstain pattern analysis, fino ad allora quasi sconosciuta in Italia, ed entrata in campo con i Ris di Parma guidati dal generale Luciano Garofano, oggi in congedo dall’Arma. Una novità destinata a cambiare quel processo pieno di misteri e molti altri dopo.

PERCHÉ FU CONDANNATA ANNAMARIA FRANZONI

L’accusa dimostrò che del sangue del piccolo erano intrisi gli zoccoli e il pigiama che la madre indossava prima di uscire di casa, la mattina dell’omicidio. L’assassino quindi li avrebbe avuti addosso mentre si scagliava su Samuele. “Quella tecnica – ha spiegato alla Dire il generale Garofano – ha avuto per la prima volta un vaglio processuale, ed è stato un ausilio importante per arrivare alla condanna che comunque voglio ricordare viene pronunciata sempre da un giudice. Non mi esprimo sulle strategie difensive e mi dispiace siano state sollevati aspetti che mi hanno messo in cattiva luce e costretto a difendermi, ma tutto si è concluso. Con Taormina (l’avvocato di Franzoni, ndr) ci siamo incontrati e si è anche scusato con me perché mi ha fatto capire che aveva dato troppo ascolto a persone che non avevano credibilità e apprezzo che abbia voluto incontrarmi. Certo del male me ne ha fatto come professionista e come persona”.

TAORMINA CONTRO I RIS, IL CASO NEL CASO

Cogne infatti diventò anche uno scontro giudiziario all’interno del caso: l’avvocato vip della difesa Franzoni, Carlo Taormina, denunciò proprio chi era alla guida delle indagini dei Ris, il generale Garofano. “Sono stato indagato cinque anni con esposto alla Procura militare e a quella ordinaria per tre ipotesi di reato – ha ricordato l’allora capo dei Ris – ed è stato tutto archiviato nel 2013. Sul piano emotivo la difficoltà è stata elevata, ma per fortuna le cose si sono risolte – ha proseguito Garofano – certo cinque anni sono molto lunghi. Nei primi tempi sono stato colto di sorpresa: tutto quello che facevo era alla luce del sole, concordato con l’Autorità giudiziaria e i miei superiori“.

UN CASO TRA SCIENZA E MISTERI

La tecnica Cogne è destinata a rimanere nella storia della giustizia italiana e può essere usata in tutti quei casi delittuosi aperti: “Ogni volta che c’è un caso che implica una presenza cospicua di macchie di sangue esse possono essere collegate a una dinamica precisa, sia essa dovuta a un’arma da fuoco o tagliente o contundente sulla scena del crimine o sugli abiti dei protagonisti e può essere risolutiva. Il DNA ci può dire chi, la BPA ci può dire come”, ha spiegato ancora il biologo Garofano.

L’arma con cui fu ucciso il povero Samuele non fu mai trovata, forse un mestolo ornamentale o un pentolino con del rame. Un altro mistero insieme a molti altri come l’orario della morte: le 8.27 stando ai medici dell’elisoccorso o le 8.17 come da referto dell’autopsia. Ai retroscena di Cogne, un caso scritto nella scienza eppure intriso di torbidi misteri che ricordano la realtà molteplice scritta in romanzo da Carlo Emilio Gadda, il generale Luciano Garofano ha dedicato un libro, ‘Il processo imperfetto’, edito da Rizzoli nel 2009 proprio negli anni in cui si avvicinava il processo Cogne bis. La tecnica delle macchie di sangue è stata determinante, ad esempio, nel processo ad Alessia Mendes assolta per aver ucciso il marito per legittima difesa, ed è stata utilizzata anche nel massacro di Erba.

LA TOMBA DI SAMUELE

Oggi Annamaria Franzoni è tornata nel suo paese d’origine, Monteacuto Vallese, suo marito non l’ha mai abbandonata e i figli anni hanno ormai 27 e 19 anni. Gestisce l’agriturismo di famiglia che ora sembrerebbe chiuso temporaneamente. La villetta di Cogne è rimasta alla famiglia Lorenzi dopo un contenzioso con Taormina sulla parcella. Per la tomba di Samuele Lorenzi sua madre volle un marmo bianco senza incisioni. Per tutti il piccolo è sepolto nello chalet di Cogne, nel cuore del Gran Paradiso.

(Dire)

Redazione

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