Nel 2016 Carla come Giulia: ma lei e la figlia si salvarono

Giulia e Carla: due storie drammaticamente analoghe, sebbene accadute a 7 anni di distanza.

Sono state entrambe aggredite mentre erano incinte: la prima di sette mesi, la seconda di otto.

Per mano di uomini che volevano cancellarle senza neppure esitare davanti alle vite che portavano in grembo. Storie simili ma non uguali, per fortuna.

Perché Carla Ilenia Caiazzo, aggredita con il fuoco il primo febbraio 2016 a Pozzuoli, in provincia di Napoli, è sopravvissuta ed è diventata mamma, felicissima, di una bambina.

Giulia Tramontano invece non ce l’ha fatta: è morta, a soli 29 anni, uccisa dalle coltellate inferte dal fidanzato, Alessandro Impagnatiello, 30 anni, che ha pure tentato di bruciarne il corpo, senza riuscirci.

Carla è viva, ma il suo cammino, da quel tragico primo febbraio, non è stato facile: ci sono volute più di 40 operazioni chirurgiche per cancellare i danni del fuoco in ogni lembo del corpo, volto compreso. A tentare di ucciderla fu il suo ex, Paolo Pietropalo. Finì sotto processo per tentato omicidio e stalking e venne condannato a 18 anni di reclusione al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato. La pena è stata confermata il 28 novembre 2017 dalla Corte d’Appello di Napoli e poi anche dalla Cassazione.

Se si ripercorre la storia di Carla non si può non definirla “un miracolo che cammina”. La sua enorme forza l’ha salvata e l’ha spinta a diventare un simbolo della lotta alla violenza contro le donne. Ma la forza delle vittime, da sola, non basta, come “non bastano solo le buone leggi”, sostiene l’avvocato Maurizio Zuccaro, ex legale di Carla Ilenia Caiazzo, promotore della legge sul cosiddetto omicidio di identità, iniziativa che ebbe un appoggio bipartisan in Parlamento.

Per Zuccaro è necessaria soprattutto “una reale formazione di chi deve occuparsi di prevenzione e di tutela delle cosiddette fasce deboli”. Occorre, in pratica, “una rivoluzione copernicana – aggiunge – che parta dalla scuole per insegnare alle nuove generazioni il rispetto e la tutela delle diversità”.

Altra nota dolente, conclude Zuccaro, è “la cattiva, e spesso superficiale, gestione dei fondi destinati alla tutela della fasce deboli: anche su quello bisogna puntare”.

(ANSA)

Redazione

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