Gli italiani non mangiano più pane

Mai così poco pane sulle tavole degli italiani con i consumi che crollano al minimo storico ad appena 80 grammi a testa al giorno, con l’addio ad una pagnotta su 3 (-33%) in poco più di un decennio.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti diffusa al Villaggio contadino di Roma in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione che si celebra il 16 ottobre, alla presenza, tra gli altri, del presidente di Coldiretti Ettore Prandini, del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e del governatore della Regione Lazio Francesco Rocca.

I PANI A RISCHIO

Nella grande area del Circo Massimo è stata allestita la prima mostra dei pani d’Italia a rischio scomparsa con gli esemplari più rari provenienti dai forni di tutte le regioni, dal Pan ner della Valle d’Aosta al pane di Chiaserna delle Marche fino al pane Cafone della Campania, e i cuochi contadini al lavoro per preparare dal vivo le specialità della tradizione.

NEL 1980 SI MANGIAVANO 230 GRAMMI A TESTA AL GIORNO, ORA 80 GRAMMI

Il calo degli acquisti – sottolinea la Coldiretti – ha avuto una accelerazione negli ultimi anni con il consumo di pane che nel 2010 era di 120 grammi a testa al giorno, nel 2000 di 180 grammi, nel 1990 a 197 grammi e nel 1980 intorno agli 230 grammi che sono valori comunque molto lontani da quelli dell’Unità d’Italia nel 1861 in cui – ricorda la Coldiretti – si mangiavano ben 1,1 chili di pane a persona al giorno.

Ma non tutto il pane è fresco, spesso si tratta di impasti surgelati, realizzati anche all’estero, e la cui cottura è terminata sul punto vendita. Per legge è denominato “fresco” il pane ottenuto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o alla surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante.

LA SCELTA RICADE SUI PANI PIÙ ‘SALUTISTI’: BIO, SENZA SALE O A KM 0

Con il taglio dei consumi – sottolinea la Coldiretti – si è verificata una svolta anche nelle abitudini a tavola. Sale l’interesse per il pane biologico e, con l´aumento dei disturbi dell´alimentazione, sono nati nuovi prodotti senza glutine e a base di cereali alternativi al frumento. Sempre più apprezzate – precisa la Coldiretti – sono dunque le varianti salutistiche e ad alto valore nutrizionale: a lunga lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0 come il pane realizzato direttamente dai produttori agricoli di Campagna Amica anche con varietà di grano locali spesso di varietà salvate dall’estinzione.

E C’È CHI FA IL PANE IN CASA (O RICICLA QUELLO ‘VECCHIO’)

Ma ci sono anche 8,5 milioni di italiani che si improvvisano fornai e preparano addirittura il pane in casa, magari utilizzando farine di cereali antichi, secondo l’analisi Coldiretti/Ixè. L’aumento dei prezzi e una più diffusa sensibilità ambientale ha portato anche molti cittadini a cercare di ridurre gli sprechi, riutilizzando il pane avanzato per la creazione di ricette prese dalla tradizione contadina, dalla panzanella ai canederli, dal pancotto agli gnocchi di pane, come illustrato al Villaggio di Roma dai cuochi contadini della Coldiretti. Se pagnotte e panini restano dunque al terzo posto della classifica dei cibi più gettati nella spazzatura, nel 2022 è diminuita la percentuale di famiglie che dichiarano di buttarlo, passata dal 21% al 16%, secondo un’analisi Coldiretti su dati Waste Watcher.

IL PIÙ GETTONATO È IL PANE ARTIGIANALE

Ad essere preferito, anche se il consumo è in costante calo, continua ad essere il pane artigianale che rappresenta l’84% del mercato ma – sottolinea la Coldiretti – cambia la pezzatura più gettonata che scende del 50% nei dieci anni, da 1,5 chili ad un solo chilo. La spesa familiare in Italia per il solo pane ammonta a 6,7 miliardi all’anno, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.

Il calo dei consumi mette in pericolo anche la sopravvivenza dei pani della tradizione popolare italiana tra i quali ben 6 sono stati addirittura riconosciuti dall’Unione Europea. Si tratta della Coppia ferrarese (Igp, Emilia Romagna), Pagnotta del Dittaino (Dop, Sicilia), Pane casareccio di Genzano (Igp, Lazio), Pane di Altamura (Dop Puglia), Pane di Matera (Igp, Basilicata) e Pane Toscano (Dop, Toscana) ma – continua la Coldiretti – sono in realtà centinaia le specialità tradizionali censite dalle diverse regioni.

LE SPECIALITÀ REGIONALI

Si va dal “Pane cafone” della Campania – spiega Coldiretti – così chiamato perché con questo termine erano chiamati i contadini al tempo dei Borboni, alla Biga servolana del Friuli Venezia Giulia, formata da due pezzi di pasta uniti insieme in modo da formare un panino a forma di sferette unite, dal pane di Triora, il paese delle streghe in Liguria, che viene cotto per circa un’ora su delle tavole di legno cosparse di crusca al pane di Chiaserna delle Marche, dal sapore leggermente acidulo.

Ma in Lombardia accanto alla michetta milanese c’è anche il pane alla zucca di Cremona impastato con una purea di zucca cotta al vapore – continua Coldiretti -, mentre dalla Val D’Aosta arriva il “Pan ner” ottenuto da un mix di segale e frumento e dal Piemonte la “Lingua di Suocera” nel cui nome è sin troppo evidente il riferimento, per la verità un po’ cattivello, alla lunghezza della lingua delle suocere.

Dall’Abruzzo viene il pane di grano Bolero, una varietà particolarmente resistente al freddo delle montagne, e ad alta quota è anche la Puccia pusterese del Trentino Alto Adige, fatta con pasta madre e arricchita da cumino, finocchio e trigonella. Un simbolo della Sardegna, accanto al noto Carasau, è il pane Pintau, decorato con simboli ancestrali che ne fanno una vera e propria opera d’arte. Affonda le sue radici nell’antichità anche il pane Rublanum della Calabria – conclude Coldiretti -, mentre dal Veneto arriva il pane Bovolo dalla particolare forma di chiocciola e dal Molise il pane di pregiato grano Senatore Cappelli.

(Dire)

Redazione

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