Le mamme del lavoro domestico escluse dalla nuova legge di bilancio
Le prime anticipazioni sulla legge di Bilancio 2024 mettono in luce le nuove misure per incentivare la natalità, ma anche come questi nuovi provvedimenti escludano le oltre 5 mila madri occupate nel lavoro domestico.
L’Osservatorio DOMINA sul lavoro domestico sottolinea da anni come le “mamme” del lavoro domestico non abbiamo le stesse tutele delle altre lavoratrici dipendenti in caso di maternità.
Nella bozza della legge di bilancio sono previsti degli investimenti per il sostegno ai nuclei con figli, infatti le mamme lavoratrici con almeno due figli potranno usufruire di una decontribuzione che aumenterà la loro busta paga. Misura che non potrà essere applicata nel caso di lavoratrici dipendenti del lavoro domestico e nel caso di tutte le lavoratrici autonome o precarie. Non è l’unica norma che non si applica al lavoro domestico, vengono anche escluse dall’aumento contributivo di un mese del congedo parentale, visto che l’INPS paga a queste lavoratrici solo la maternità obbligatoria (5 mesi) e non il congedo parentale (facoltativo).
Inoltre, a differenza delle altre lavoratrici dipendenti che possono usufruire della maternità senza particolari vincoli, le lavoratrici domestiche devono aver accumulato un numero minimo di contributi. Oltre alla mancanza di congedo facoltativo non hanno diritto ai permessi per allattamento, né al congedo per la malattia del figlio.
Nel 2022 questa mancanza di tutele ha riguardato 5.375 lavoratrici nel settore domestico. Dall’analisi della serie storica delle lavoratrici con almeno un giorno di maternità si vede come il trend sia decrescente. Nel 2015 le “mamme” in ambito domestico erano oltre diecimila, mentre progressivamente i valori sono andati a diminuire fino a dimezzarsi nell’ultimo anno in esame.
Anche dal confronto con le altre dipendenti si evidenzia come la maternità non sia molto diffusa in ambito domestico. Mediamente negli altri settori nel 2022 hanno usufruito delle maternità obbligatoria 3,5 dipendenti ogni 100, mentre in ambito domestico questa percentuale diminuisce allo 0,7 ogni 100. Sicuramente il fatto che nel settore siano presenti molte lavoratrici più mature porta ad una minore presenza di “maternità”, ma rimane il fatto che queste lavoratrici non hanno le stesse tutele delle altre lavoratrici dipendenti. Quanto costerebbe allo Stato garantire loro tutti i diritti?
Per Lorenzo Gasparrini, Segretario Generale DOMINA, “garantire anche alle “mamme” impiegate nel lavoro domestico gli stessi diritti delle altre dipendenti è doveroso. Si tratta di lavoratrici indispensabili per le famiglie che ci consentono di gestire i nostri cari e le nostre case, e che devono avere tutti gli strumenti per gestire i loro figli”.
Nel 2022 la maternità delle lavoratrici domestiche è costata all’INPS 12,2 milioni di euro per un importo medio di circa 2.300 per ogni lavoratrice. Grazie a questi valori riusciamo a calcolare anche il possibile costo della maternità facoltativa. Nel periodo di congedo parentale l’INPS eroga una indennità pari al 30% della retribuzione per 6 mesi, è possibile quindi stimare un aggravio per le casse dell’INPS per la maternità facoltativa delle 5.375 domestiche di circa 6,9 milioni.
Considerando gli indennizzi ricevuti per la maternità obbligatoria delle neo mamme e utilizzando (in base al CCNL del lavoro domestico) come coefficiente giornaliero 26 giorni è stato possibile stimare il costo orario delle neo mamme ed il conseguente costo dell’INPS per sostenere le 2 ore di allattamento giornaliero fino al compimento dell’anno del bambino.
La stima del costo totale per l’allattamento è pari a 2,8 milioni. Possiamo concludere che con una spesa massima di 9,7 milioni l’INPS potrebbe garantire anche alle lavoratrici domestiche tutti i diritti legati alla maternità che hanno le altre dipendenti.