‘È morto Pantani’: 20 anni fa l’Italia perse il suo pirata
Sono passati vent’anni dalla morte di Marco Pantani: il ‘Pirata’ venne trovato morto la sera del 14 febbraio 2004 nella stanza D5 al quinto piano del Residence Le Rose di Rimini: aveva 34 anni.
Nonostante inchieste e contro inchieste, la sua morte resta in fin dei conti un mistero mai del tutto risolto.
Anche se va detto che tutte le inchieste fatte sono state concordi nell’escludere, alla fine, che sia stata ucciso da qualcuno.
Si parlò a lungo di suicidio. Si indagò su chi poteva avergli portato la droga. Si indagò sui soldi, tanti, che non vennero ritrovati nella stanza d’hotel. Ma alla fine la verità non si potrà mai sapere.
La cosa più verosimile è che il ciclista sia morto per un mix di cocaina e farmaci, che lui stesso aveva assunto. La causa della morte è stata insufficienza cardiaca.
La stanza era chiusa dall’interno e i mobili erano stati spostati e sistemati davanti alla porta (sempre all’interno) come per bloccarla.
C’era disordine, con mobili spostati, ma non furono trovati danni. Pantani, quel giorno, aveva chiamato più volte la reception per segnalare rumori e persone che lo disturbavano. Ma poi quando qualcuno dell’hotel era salito per controllare non aveva mai aperto la porta.
LA NOTIZIA DELLA MORTE IN UN SMS VIRALE
14 febbraio 2004. San Valentino, i cuori, le rose, i piccioncini. E quella notizia che cominciò a bippare con la suoneria degli sms sui cellulari antichi degli italiani innamorati di lui. Facebook era nato appena una settimana prima, la viralità a quei tempi non esisteva. “Pantani è morto, forse si è suicidato“. Era il tonfo definitivo di uno che per misura di vita aveva scelto la risalita.
Pantani era caduto la prima volta nel pancione di mamma Tonina, che andava a fare la spesa in bici con la futura sorellina Manola d’un anno appena sul seggiolino. Farsi male è una roba da grandi, farsi male come s’è fatto male Pantani solo da grandissimi. Morire in un residence di Rimini fuori stagione, è un destino eterno da rockstar un po’ patacca.
Marco e Panzavolta facevano “che io sono Saronni e tu Moser”. Pantani prima di diventare Pantani e infine morirne, voleva essere sempre Saronni. Era in prima media, quando chiese la bici al nonno. Una Vicini rossa modello Tour de France. Panzavolta, il compagno di classe, aveva il papà che correva nella Fausto Coppi. Ingarellarsi per gioco, e per la vita, fu un attimo. Un attimo sono venti anni che è morto.
Quando la notizia fu vidimata dai tiggì, scrissero poi che col “pirata” era morto il ciclismo. Quello delle fughe romantiche, delle telecronache di Adriano De Zan, delle tappe di montagna che scandivano i pomeriggi davanti alla tv a far finta di fare i compiti. “Eccolo, è partito Pantani”, annunciava De Zan. Che era tipo un segnale, e a quel segnale “scatenate l’inferno”. E il pirata s’alzava sui pedali, inspirando tutto l’ossigeno dei tinelli d’Italia in apnea. Panta in greco vuol dire tutto.
Era ciclocross, quello di Pantani. Una corsa a tappe e ostacoli. E’ stato indagato da sette procure diverse per frode sportiva. Tre volte è finito a giudizio. In due occasioni è stato assolto. Il terzo processo è decaduto per morte dell’imputato. Il mare di Cesenatico l’ha guardato per ultimo. Fine pena mai. Il giornalismo ci mise un secondo a tradurre una carriera d’incensi in dita puntate. Spuntò fuori il narcisismo della magistratura.
Oggi sono venti anni che è morto. E trenta che è nato, al Giro del 1994: la tappa del Mortirolo. Pantani, leggero, quasi brullo, che manda in crisi Indurain. Lo pianta e va su, lungo le stradine strette e scoscese incorniciate dagli alberi. Scavalla in cima. Poi si sistema dietro la sella, come facevano i ragazzini spericolati, un missile in discesa. E infine in pianura, contro vento. Aspetta Indurain, lo fa tirare un po’. E poi di nuovo in salita, ciao ciao, “al cine vacci tu”.
Seguirà una carrellata di imprese. Gli incidenti, la Milano-Torino, il gatto al Giro d’Italia, le rimonte al Tour con l’idolo di casa, Virenque, sverniciato con impalpabile superiorità. Pantani garantiva il fabbisogno isterico della gente d’un ciclismo epico. Nel luglio del 1998 sotto un inferno atmosferico, disintegrò Ullrich sul Galibier e andò a prendersi la maglia gialla per tutti noi. “Vado forte in salita così smetto prima di soffrire“, disse in una memorabile intervista a Gianni Mura che lo soprannominò pantadattilo.
Ma Pantani correva controvento. Non a caso il regista de ‘Il migliore’ – uno dei più puntuali documentari sulla sua vita – monta per tutte la celebre tappa di Oropa, quando il gruppo accelerò non appena Pantani ebbe un guasto alla catena. Li riprese tutti, uno ad uno, passò davanti ai volti tirati di Gotti e Savoldelli, quello quasi ammirato di Jalabert, e vinse. Quando venne fermato, era maglia rosa, maglia verde, maglia ciclamino. Era il ciclismo, Pantani.
Venne poi Madonna di Campiglio, l’ematocrito a 52. Fu fermato quando aveva praticamente vinto il secondo Giro d’Italia di fila. Lo visse come un tradimento. “M’hanno fregato”. Tornò, vinse contro Armstrong al Mont Ventoux, al Tour. E quello, il dopato per eccellenza, ebbe la faccia tosta d’umiliarlo: “L’ho fatto vincere”. Pantani un attimo fa era un mito, l’attimo dopo un martire. Fanno venti anni oggi, che non lo lasciano in pace. Finito al centro d’un complotto, chissà, la sua storia è rimasta sospesa nel sospetto. Non è mai risultato positivo a un controllo, ma i file ematici dell’Università di Ferrara dal 1992 al 1996, registrati a nome Panzani, Panti, Ponti, Padovani… davano i numeri d’una prossimità al doping: l’ematocrito oscillava dal 41 al 56%. All’ospedale delle Molinette, dopo l’incidente della Milano-Torino 1995, era al 60,1%. Tanto che i medici dovettero iniettargli litri di diluente per evitare una trombosi. Oggi lo sappiamo per ammissione postuma dei vari Armstrong e Ullrich: il doping ematico era la norma nel ciclismo dell’epoca. Pantani, come quasi tutti, viaggiava con una centrifuga per analizzarsi il sangue e non superare le soglie previste.
Pantani s’è tirato fuori da quella pozza salmastra di invidie e sospetti, a San Valentino del 2004. Venti anni oggi. Stanza D5, Residence Le Rose di Rimini. Overdose. Gli ultras del Cesena lo proteggevano, avevano minacciato i pusher della zona: niente roba al Pirata. Uno tradì.
Era stato Saronni, l’aveva superato. Era caduto, s’era rialzato, aveva scoperto che dopo il traguardo non c’era più nulla.
LO SCANDALO DEL DOPING: “MI HANNO FREGATO”
La morte di Pantani è arrivata nel 2004, ma i tantissimi suoi fan (che ancora oggi lo rimpiangono e continuano a trovarsi per ricordarlo) direbbero senza ombra di dubbio che la sua fine porta un’altra data: 5 giugno 1999. Ovvero il giorno in cui l’esito dell’esame antidoping fatto a Madonna di Campiglio decretò la sua squalifica dal Giro d’Italia. “Mi hanno fregato“, disse il campione subito dopo. E non ha mai cambiato versione. Per questa vicenda, la commissione antimafia indagò sulla malavita organizzata. Anche questo giallo è ancora irrisolto. Il dubbio è che la provetta di Pantani sia stata scambiata con quella di qualcun altro o manomessa. La famiglia non si è mai rassegnata e di recente sono stati presentati nuovi esposti alle Procure di Roma, Forlì e Trento. Il campione, quel giorno, fu sottoposto ad un esame del sangue la mattina presto all’hotel Touring, da cui risultò un valore di ematocrito pari al 52% (mentre doveva stare al di sotto del 50%). Gli esami, ripetuti poche ore dopo all’ospedale di Imola, dettero un risultato diverso, con un ematocrito pari al 48%. Il processo per frode sportiva finì con un’assoluzione perchè il fatto non costituiva reato. L‘anno dopo lo scandalo di Madonna di Campiglio, Pantani tornò a gareggiare e tornò a vincere, ma non fu più costante nelle vittorie e negli alti livelli di prima. Cadde poi in depressione e cominciò ad utilizzare droghe nella vita privata. Poi la tragica fine nel 2004.
IL MITO DI PANTANI IN ROMAGNA
Marco Pantani non ha mai smesso di essere considerato un grande campione dagli appassionati di ciclismo. E continua a essere un celebrato come un ‘idolo’ in tutta Italia, ma soprattutto nella sua Romagna. Nato nel 1970 e con un carattere umile e gentile, Pantani cominciò a farsi conoscere come campione con le prime vittorie del Giro d’Italia nel 1994. Poi, tra imprese e brutti incidenti, portò avanti una carriera strepitosa. E si trasformò poi definitivamente in un mito nel 1998, l’anno in cui riuscì a vincere sia il Giro d’Italia che il Tour de France nello stesso anno.
A CASA DEL ‘PIRATA’ A CESENATICO
A Cesenatico, la cittadina di cui era originario e dove è sepolto, tutto parla di Pantani, e il magico 1998 del ‘Pirata’ è ricordato con due gigantesche biglie (all’interno c’è la foto del ciclista) sistemate in piazza Andrea Costa, la piazza del grattacielo e cuore del lungomare: una è gialla per ricordare il Tour de France, l’altra è rigorosamente rosa per il Giro d’Italia. Proprio in questi giorni, poi, il sindaco Matteo Gozzoli (che era appassionato di ciclismo fin da bambino e incontrò il suo ‘mito’ Pantani all’età di 12 anni) ha annunciato che al campione sarà dedicata la grande piazza sul lungomare che ora si chiama Guglielmo Marconi. La piazza già da anni ospita il monumento dedicato al Pirata che venne realizzato nel 2005 dall’artista bolognese Emanuela Pierantozzi. Ma presto verrà riqualificata e porterà proprio il nome di piazza Marco Pantani.
IL MUSEO
Di fianco alla stazione di Cesenatico, poi, c’è lo ‘Spazio Pantani’, punto di partenza obbligato per chiunque voglia immergersi nel mondo e nei grandissimi successi del ciclista: il Museo ripercorre la sua carriera e mette in mostra materiale e cimeli appartenuti del campione. Ci sono biciclette, in particolare la sua CustomBike, maglie, trofei e materiale fotografico.
(Dire)