Pericardite, le cause per l’infiammazione al cuore
“I sintomi della pericardite sono molto simili a quelli di un infarto miocardico: un dolore al petto che si può irradiare alla schiena o al braccio sinistro. Nella pericardite però il dolore può variare in base alla posizione e alla digito pressione, può associarsi a febbre e affanno e la sua durata può esser prolungata nel tempo”. Lo spiega alla Dire Leonardo De Luca, primario di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia e vicepresidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco), interpellato sul caso del ministro della Difesa Crosetto, ricoverato d’urgenza nella notte al pronto soccorso del San Carlo di Nancy a Roma, con forti dolori al petto.
“Il ministro della Difesa a quanto ho letto dai giornali è stato sottoposto ad una coronarografia e le sue coronarie sono esenti da occlusioni, quindi non è un infarto– chiarisce subito De Luca- Pericardite e infarto sono problematiche molto diverse: la prima è un’infiammazione del pericardio con una prognosi quasi sempre benevola, mentre l’infarto è un’occlusione totale o parziale dell’arteria del cuore (coronaria) e il rischio di mortalità in acuto è notevolmente più alto”.
Che cos’è il pericardio? “E’ un sacchetto che circonda il cuore ed è formato da due foglietti. Tra questi c’è il liquido pericardico che serve ad evitare sfregamenti e a proteggere il cuore. Nelle pericarditi in forma avanzata- precisa il medico- questo liquido può aumentare creando un versamento pericardico che deve essere drenato con una pericardiocentesi percutanea o chirurgica. Non è una regola- puntualizza il primario- l’importante però è il monitoraggio del versamento”.
LE CAUSE DELLA PERICARDITE
La causa della pericardite, generalmente, “è una banale infezione virale che può interessare i foglietti pericardici, proprio come avviene per la polmonite o la gastroenterite”. Tra i fattori scatenanti, però, possono esserci anche altre cause: “Infezioni batteriche, infezioni fungine, stati post-infartuali o stadi avanzati di malattie renali. Cause tossiche dovute all’uso di alcuni farmaci, da radiazioni ionizzanti, o infine può derivare da alcuni tumori o patologie autoimmuni“, aggiunge.
Per diagnosticare una pericardite, e non confonderla con un infarto, bisogna eseguire un elettrocardiogramma ed un ecocardiogramma “perché nelle fasi iniziali di pericardite la funzione cardiaca è conservata a differenza dell’infarto, in linea generale. La coronarografia si esegue, invece, per escludere la correlazione con un infarto”. Durante la pandemia fu segnalato un aumentato rischio di pericardite, come mai? “In epoca pandemica si è verificata una piccola correlazione con il Covid a causa di un aumento di miocarditi e pericarditi, ma non è stata mai confermata la chiara correlazione con la pericardite. In generale, le pericarditi nel 10-15% dei casi si associano anche alle miocarditi- sottolinea De Luca- ovvero a infiammazioni del miocardio. Normalmente l’incidenza è di 20 casi ogni 100mila abitanti, durante il Covid questa incidenza si è incrementata leggermente“.
COME SI CURA LA PERICARDITE
Infine il trattamento, che per le pericarditi è soprattutto farmacologico. “La pericardite generalmente viene trattata con gli antinfiammatori, i cosiddetti Fans, poi c’è la colchicina che è molto efficace, o gli steroidi. Nella stragrande maggioranza dei casi la prognosi è benevola e il paziente necessita di un ricovero di pochi giorni. Sarà necessario effettuare un monitoraggio con degli ecocardiogrammi per osservare il versamento. Il monitoraggio durerà qualche mese se i sintomi persistono- conclude il vicepresidente Anmco- se invece regrediscono basterà un ecocardiogramma di controllo a 1-3 mesi”.
(Dire)