Un padre al clan: ‘Vi pago, uccidete mio figlio’

Per mettere fine alle angherie che subiva per mano del figlio e del genero ha chiesto alla camorra di ucciderli e di far sparire i loro corpi.

È un episodio che mette i brividi quello documentato nell’inchiesta della Dda di Napoli e dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna che oggi ha portato alla notifica di nei confronti di 13 persone (delle quali 12 sottoposte alla misura della custodia in carcere, 1 alla misura dell’obbligo di presentazione alla p.g.) gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso nonché di detenzione e porto di armi, estorsione e tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, delitti aggravati dalla finalità di agevolare e favorire gli interessi del clan Fabbrocino, operante in Palma Campania e zone limitrofe nonché dalla metodologia mafiosa, avvalendosi gli indagati della forza intimidatrice del gruppo criminale.

In particolare, le attività estorsive sarebbero state commesse nei confronti di vari imprenditori per consentire loro di svolgere la propria attività commerciale.

Inoltre, sono state sottoposte a sequestro preventivo anche due società la cui attività sarebbe riconducibile al clan.

LA VICENDA

L’episodio in questione risale al 20 giugno 2022: gli inquirenti vengono a conoscenza del fatto che in un ufficio del cimitero di Palma Campania (Napoli), riconducibile a una società, il clan Fabbrocino non solo convocava gli imprenditori a cui imporre il pizzo ma accoglieva, come se fosse un punto d’ascolto per la popolazione, i cittadini afflitti da problemi personali di vario tipo.

E a chiedere ausilio va anche un uomo, come emerge dalle conversazioni registrate dalle cimici dei carabinieri, che preso di mira dal figlio e dal genero che lo tormentavano per questioni economiche, dice: “è la quarta volta che mi ha picchiato… sia mio genero e sia mio figlio…”, chiedendo quindi a uno degli esponenti del clan “di farli scomparire proprio, e di non farli trovare proprio”.

In sostanza la richiesta è quella di un duplice omicidio, con tanto di distruzione dei cadaveri. La camorra però si mostra più clemente del suo interlocutore: i Fabbrocino rassicurano l’uomo, che si era anche detto pronto a pagare, facendogli sapere che avrebbero fatto ai due “una bella ramanzina”.

“Vedo di parlarci io… – dice l’affiliato – non dobbiamo far scomparire niente, dobbiamo dire che con voi devono fare i bravi”.

Tra le istanze pervenute a questa sorta di “sportello d’ascolto della camorra” figurano anche richieste di aiuto per debiti non pagati e interventi per dirimere difficoltà nell’acquisto di terreni e diatribe di tipo lavorativo.

Tra i destinatari delle misure cautelari in carcere c’è anche Biagio Bifulco, ritenuto a capo della famiglia malavitosa Fabbrocino di Palma Campania, che avrebbe tenuto sotto controllo il clan anche dal carcere.

In alcune conversazioni inserite nell’ordinanza emessa dal gip di Napoli Leda Rossetti emerge che un imprenditore di una ditta di trasporti (indagato e non destinatario di una misura cautelare), avrebbe versato 4mila euro al mese, al boss Bifulco, il quale aveva “imposto” a un noto gruppo imprenditoriale “di avvalersi, per l’autotrasporto”, della sua società.

Le tangenti da 4mila euro, quando il boss era in cella, sarebbero state versate dall’imprenditore attraverso un intermediario, pure lui indagato.

La vicenda viene ritenuta dagli inquirenti pregnante in quanto descrive la caratura criminale del boss Biagio Bifulco, raggiunto dalla misura cautelare del gip nel carcere dove è detenuto.

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Redazione

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