“Don Peppe Diana camorrista”, editore condannato per diffamazione
Il titolo “Don Peppe Diana era un camorrista”, pubblicato sulle pagine del quotidiano casertano ‘Corriere di Caserta’ il 28 marzo 2003, ritenuto diffamatorio.
Lo ha stabilito il giudice monocratico del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Salvatore Scalera, con sentenza che porta la data del 17 giugno 2024.
Il Tribunale casertano ha condannato la Libra Editrice, editrice dei quotidiani Cronache di Caserta e Cronache di Napoli, per avere diffamato, 21 anni fa, don Peppe Diana, il prete anticamorra ucciso con 5 colpi di pistola, nella sua chiesa di Casal di Principe, il 19 marzo del 1994.
LA SENTENZA
I fratelli del sacerdote dovranno essere risarciti con 100mila euro per un articolo pubblicato il 28 marzo 2003 dal Corriere di Caserta (oggi Cronache di Caserta, ndr) nel quale il sacerdote venne definito camorrista e custode delle armi della mafia casalese.
La famiglia di don Peppe, in particolare i genitori, Iolanda Di Tella e Gennaro Diana, presentarono subito una denuncia ma hanno avuto giustizia a distanza di 21 anni, dopo la loro morte.
“L’espediente – scrivono i giudici – di riportare nell’articolo le dichiarazioni rese dagli avvocati degli imputati nel processo per l’omicidio del sacerdote appare un maldestro tentativo di camuffare la portata tendenziosa e diffamante delle frasi utilizzate dalla giornalista” che scrisse l’articolo, anche lei condannata.
IL PRECEDENTE
La notizia diffamatoria del 28 marzo 2003 venne preceduta da altri articoli, tutti dello stesso tenore, come quello pubblicato in prima pagina il 23 giugno 1999, sul Corriere di Caserta, intitolato “Don Diana a letto con due donne”.
Come in precedenza anche questa volta viene spiegato la figura del prete anticamorra venne infangata nell’ambito di una precisa strategia diffamatoria.
Con questa condanna al giornale che lo diffamò, un altro tassello di giustizia che si aggiunge al lungo restauro della sua memoria per cui la famiglia Diana e gli amici di don Peppe non hanno mai smesso di battersi.
Quella mattina del 19 marzo 1994
E’ il 19 marzo 1994. Sono da poco passate le 7,20. Don Giuseppe Diana, 36 anni, parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, arriva prima del solito nella sua parrocchia. E’ anche il giorno del suo onomastico. Dopo la messa delle 7.30 ha dato appuntamento in un bar a diversi amici per un dolce e un caffè. Sulla porta il sagrestano lo saluta. In chiesa ci sono già alcune donne e le suore.
C’è anche Augusto di Meo ad aspettarlo, il suo amico fotografo. Vuole essere tra i primi a fargli gli auguri per il suo onomastico. Ma ad aspettare don Peppe c’è anche un’altra persona. E’ sul piazzale della chiesa, in auto. E’ un uomo con meno di 40 anni. con un giubbotto nero e capelli lunghi. Appena vede il prete entrare, scende. Si guarda intorno, mette la pistola nella cintura e si avvia a passo deciso verso la sagrestia.
Don Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa. Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”. L’uomo tira fuori la pistola dalla cintola e spara quattro colpi, al volto e al petto. Per don Peppe, che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare.
Muore a 36 anni il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi. Il killer si dilegua. Ad aspettarlo ci sono dei complici con l’auto del motore acceso. Augusto, il fotografo amico di don Diana invece, corre dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Sarà lui a riconoscere in Giuseppe Quadrano il killer di don Diana.