‘Stai a casa’ e vieta alla moglie di lavorare: condannato
Per parecchio tempo ha fatto lavorare la moglie come contabile nella sua azienda ma senza versarle lo stipendio.
Poi, quando lei trovò un impiego nel settore turistico, le impedì di lavorare chiamandola in continuazione.
C’è anche questa fra le condotte contestate a un uomo condannato per maltrattamenti a Torino con una sentenza convalidata dalla Cassazione.
L’uomo è stato accusato di condotte vessatorie, controllanti, denigratorie.
I giudici però hanno anche sottolineato i “comportamenti volti a ostacolare l’emancipazione economica della moglie” sul presupposto che era “meglio che rimanesse a casa con i figli”.
‘Niente pigiama in casa la domenica’: marito condannato
Aveva imposto alla moglie delle regole che andavano dal non stare in pigiama in casa la domenica “perché era segno di pigrizia” al non bere zabaione o vin brulè “perché era un atteggiamento da vecchi”.
Protagonista è un manager del Torinese, condannato il 10 settembre scorso dal tribunale di Torino a tre anni di reclusione, sostituiti con detenzione domiciliare, per stalking, maltrattamenti, danneggiamento e accesso abusivo alla mail della ex.
Nelle motivazioni, depositate lo scorso dicembre e firmate dal giudice, c’è l’elenco delle regole imposte dal marito alla donna e che, secondo il tribunale, ne tratteggiano “l’atteggiamento controllante, umiliante e aggressivo”.
Muore la moglie? Chi resta vedovo ha un rischio di morte più alto
Restare vedovi o vedove in anzianità aumenta il rischio di mortalità. Soprattutto tra gli uomini. È la conclusione a cui è giunto uno studio, il primo nel suo genere, realizzata sulla base dei dati Inps dagli statistici dell’Alma Mater di Bologna, nell’ambito del progetto ‘Age-It’ finanziato con risorse Pnrr.
In buona sostanza, si è visto che per i pensionati italiani maschi che subiscono la perdita del coniuge il rischio di mortalità è del 35% maggiore rispetto ai loro coetanei sposati, mentre per le donne l’incremento è del 24%.
Lo studio evidenzia in particolare che “i primi mesi dopo la morte del coniuge sono quelli più critici, con un sensibile aumento del rischio di mortalità“.