Il Piper Club compie 60 anni tra beat generation e disco
Quando il Piper Club fu inaugurato, in Europa solo il Cavern Club, lo storico locale di Liverpool che già nel 1961 ospitò i Beatles, aveva iniziato ad ospitare musica dal vivo da poco meno di 9 anni.
Era il 17 febbraio 1965 quando a Roma, in via Tagliamento, nei pressi del quartiere Coppedè, aprì i battenti per la prima volta il locale notturno che avrebbe segnato generazioni, cambiando la notte nella Capitale.
Era il simbolo della beat generation, che ospitava essenzialmente la musica dal vivo di artisti d’eccellenza in arrivo sì da tutta Italia, ma anche dal resto d’Europa e del mondo.
Furono tre soci, un avvocato, Alberigo Crocetta, un commerciante di automobili, Giancarlo Bornigia, e un importatore di carni, Alessandro Diotallevi, a fondare il Piper raccogliendo qui la voglia di ribellione e trasgressione dei ragazzi dell’epoca.
O anche ‘solo’ alla ricerca di musica da ascoltare live. Fino al 1970, infatti, il beat prima e l’underground poi qui mossero i primi passi.
Dopo i The Rokes di Shel Shapiro e L’Equipe 84 di Maurizio Vandelli la sera dell’inaugurazione, tantissimi furono gli artisti che scesero gli scalini di via Tagliamento 9: da Caterina Caselli alla ‘ragazza del Piper’ Patty Pravo, da Romina Power a Mina, da Mia Martini e Loredana Bertè a Renato Zero.
Quest’ultimo nel 1982 pubblicò ‘Via Tagliamento 1965/1970’, un doppio album live ispirato proprio a quegli anni che furono determinanti nella carriera dell’autore di Viva La Rai, de Il Carrozzone e del Triangolo.
Nei primi anni di vita, il Piper ospitò anche gruppi in voga in quegli anni o che avevano intrapreso una strada che li avrebbe portati a un duraturo successo mondiale.
Come i Procol Harum, quelli di A Whiter Shade of Pale, i Byrds di Mr. Tambourine Man, Herbie Goins & The Soultimers (il cui chitarrista era il virtuoso John McLaughlin).
Oppure dei giovanissimi Pink Floyd, che qui si esibirono per due date, il 18 e 19 aprile del 1968, con il nuovo chitarrista David Gilmour. E poi ancora i Pooh, che nel 1966 qui conobbero Riccardo Fogli, o Wess, famosi i suoi duetti con Dori Ghezzi.
Ma qui hanno suonato anche i Goblin di Claudio Simonetti, tra gli altri autori della storica colonna sonora di Profondo Rosso, capolavoro di Dario Argento.
“Ero troppo piccolo quando il locale ha avuto il suo massimo splendore- ha detto Simonetti all’agenzia Dire- Una volta entrai perché ero in compagnia di persone adulte. Poi l’ho frequentato durante gli Anni 80 quando era diventato una discoteca£.
“Addirittura si pattinava dentro, il Piper ha fatto tante trasformazioni. E conoscevo Bornigia, è stato un grande imprenditore che è riuscito a tenere vivo un locale del genere, ma non ho avuto una grande conoscenza del Piper”.
In pista, proprio all’inizio degli Anni 80, i dj avranno sicuramente passato ‘Gioca Jouer’, canzone dance pop con testo di Claudio Cecchetto e musiche proprio di Claudio Simonetti.
“Era il 1981- ricorda ancora Simonetti- frequentavo Claudio Cecchetto, che faceva ancora il dj e il presentatore. Mi disse che aveva questa idea” a proposito di quella che sarebbe diventata proprio ‘Gioca Jouer’.
“A casa ho pensato a cosa potesse far ballare la gente, quindi alla tarantella” e una volta registrata “la fortuna fu che lui fu chiamato a presentare Sanremo per la seconda volta, con la canzone messa come sigla del Festival con tanto di ballerini che entravano all’Ariston. La canzone ebbe successo come pure oggi. Anzi, molte generazioni non conoscono Profondo Rosso ma Gioca Jouer sì”.
(Dire)